19 Aprile 2014 – Decine di migliaia di lavoratori cinesi della fabbrica di scarpe della Yue Yuen di Dongguan, nel sud della Cina, proseguono lo sciopero iniziato la scorsa settimana per avere un’assicurazione sociale. La protesta di lavoratori più importante mai organizzata in Cina. Circa 60.000 persone lavorano nella fabbrica di Dongguan della “Shoes Factory Yue Yuen”, un’impresa taiwanese, è la più grande produttrice di scarpe sportive al mondo rifornisce e produce tra gli altri per Adidas, Nike, Asics, Puma e Timberland. Il gruppo Pou Chen, proprietario della fabbrica, ha in Cina in tutto 200.000 dipendenti. Questo potrebbe portare ad un possibile effetto domino in tutta la società cinese, ripercuotendosi su tutto il sistema economico e scatenando finalmente l’emancipazione della classe operaia?! E’forse l’inizio del riscatto sociale? Quella della manodopera a bassissimo costo è sempre stata la risorsa (quasi una materia prima) più apprezzata per la Cina del ventunesimo secolo.
In Cina, lo sciopero, quello del Guangdong nella città di Dongguan, entra nel quinto giorno.
Il numero degli scioperanti è aumentato da 40mila ad oltre 60mila persone, in tutta la città di Dongguan si sono arrestati sette impianti, questo ha provocato il blocco totale della viabilità nonostante vi siano 2000-3000 uomini della polizia per impedire che i dipendenti scendessero in piazza. Ancora non vi sono progressi nei negoziati sulle condizioni di lavoro. La buona notizia è che gli scioperi si sono diffusi in tutta Dongguan City.
Dal 16° piano del palazzo della “Yue Yuen Shoes Factory” si sentono sotto assedio: Ogni pianta fuori dall’ingresso del cancello è stata oggetto di vandalismo, ci sono un gran numero di poliziotti armati ed agenti di pubblica sicurezza, mentre vengono circondati dagli operai della fabbrica dove vi sono stati la maggior parte degli scontri violenti.
Jane Hui dirigente della Shenzhen Chunfeng (alle pubbliche relazioni e controversie sul lavoro) ha dichiarato: “La Yue Yuen Shoes è una fabbrica con oltre 60.000 operai attualmente in sciopero intorno alla fabbrica stessa e dove la polizia è in attesa di schierare circa 2000-3000 uomini, distribuiti su sette impianti diversi. Dentro gli impianti vi sono al lavoro, circa 300 dipendenti o giù di lì, che sono rimasti bloccati all’interno o in mezzo alla strada. La polizia riferisce che spesso i rivoltosi non si limitano nel gridare per strada la protesta, ma adesso la protesta è un vero “fiume Giallo” (in tutta la città) sempre più sentito ed in movimento.”
La Pubblica Sicurezza di Dongguan ha richiesto l’invio dallo Stato centrale, di un maggior numero di personale di sicurezza in borghese, allo scopo di prevenire le violenze, oltre a molti volontari della società civile per assistere i lavoratori. Ma la mattina del 17 Aprile, lo sciopero e gli slogan dei lavoratori hanno colto un vero e proprio strappo con le istituzioni locali causando un vero e proprio conflitto.
Il dirigente della Shenzhen Chunfeng, Jane Hui ha aggiunto: “Questa mattina dopo un paio di schermaglie, ci sono stati diversi feriti sia tra le forze dell’ordine che tra i manifestanti, ma la polizia speciale ha arrestato alcuni dipendenti, mentre agenti in borghese erano già nei dintorni.”
La causa dello scoppio dello sciopero, è basata sul fatto che i lavoratori rivendicano il diritto, sia per se stessi che per i lavoratori temporanei, di essere riconosciute economicamente le norme di sicurezza sociale, denunciando la completa assenza di ammortizzatori sociali che riduce inevitabilmente i benefici economici dei lavoratori. I lavoratori cinesi richiedono inoltre al costruttore di pagare la pensione e i fondi di previdenza, chiedono infine un contratto di lavoro formale e la retribuzione retroattiva. Quello che chiedono i lavoratori cinesi è una vera e propria “rivoluzione copernicana” per il sistema economico-sociale del colosso asiatico.
Il Direttore della Shenzhen Chunfeng, Zhang Zhiru aggiunge: “La fabbrica è presente da tempi relativamente lunghi ed un sacco di dipendenti sono anziani con più di dieci anni di servizio, molti altri con più di 20 anni. Presto andranno in pensione ma, durante quest’ultimo periodo di proteste, essi hanno scoperto che non c’è nessuna legge, nessuna copertura economica per la sicurezza sociale, né la volontà di influenzare le prestazioni pensionistiche future.”
La protesta è cresciuta nel tempo, tanto da coinvolgere decine di migliaia di persone ed essere considerata la più violenta della recente storia della regione.
In una nota Adidas scrive che «sta monitorando da vicino la situazione» e che «condurrà delle indagini non appena lo sciopero sarà rientrato». Un portavoce di Nike ha riferito che l’azienda è «consapevole e preoccupata per quello che sta avvenendo nelle fabbriche Yue Yuen Shoes della provincia del Guangdong: continua a favorire il dialogo tra i vertici della manifattura e i lavoratori, così come a controllare la produzione negli stabilimenti». In Borsa Nike e Asics non stanno subendo alcun contraccolpo, mentre sono scattate le vendite sui titoli Puma e Adidas, nonostante la buona performance del listino tedesco di Francoforte.
Se la dimensione delle proteste nel caso della “Yue Yuen Shoes” a Dongguan è senza precedenti, lo strumento dello sciopero in sé non è nuovo in Cina. Sempre più spesso gli operai delle fabbriche entrano in lotta per difendere i loro diritti su vari fronti. Esperti del lavoro sostengono che c’è una nuova consapevolezza tra i colletti blu del Paese.
La violazione delle leggi sul lavoro è assai comune in Cina: in un’inchiesta condotta su oltre quattrocento stabilimenti, China Labor Watch ha rilevato che neanche uno era in regola con i pagamenti dei contributi. Negli ultimi anni però una consapevolezza maggiore dei propri diritti tra i lavoratori e la base di manodopera ridotta per il rallentamento demografico stanno cambiando i rapporti di forza nel settore produttivo. La società è in parte di proprietà taiwanese e minaccia licenziamenti se gli scioperi dovessero continuare. Secondo quanto si apprende l’azienda si sarebbe impegnata a varare le misure di welfare entro il 2015, ma i lavoratori non si sono sentiti soddisfatti dell’offerta e hanno avviato gli scioperi.
Recentemente altre grandi aziende come Wal-Mart, Nokia e International Business Machines sono state colpite da scioperi e proteste, e altre come Samsung e Ibm hanno dovuto accettare di migliorare le condizioni dei loro dipendenti.
Il premier cinese Li Keqiang ha riconosciuto la necessità di privilegiare la qualità rispetto alla dimensione dello sviluppo economico creando posti di lavoro con paghe migliori, anche a costo di abbandonare il modello basato sugli investimenti esteri che ha prodotto il rapido sviluppo degli ultimi anni.
Le autorità non sembrano troppo preoccupate per i dati sulla crescita economica pubblicati il 16 aprile, secondo cui nel primo trimestre del 2014 il pil cinese è cresciuto del 7,4 per cento rispetto al 7,7 per cento dello stesso periodo del 2013. Per molti analisti il rallentamento è dovuto anche agli sforzi fatti dal governo per riequilibrare la crescita e dare maggior peso alla domanda interna e agli investimenti privati ma, se vuole conservare l’equilibrio sociale, l’economia dovrà continuare a crescere a un ritmo superiore al 7 per cento.
Il mercato è cambiato. A differenza dei genitori, i giovani cinesi non vogliono lavorare in fabbrica. Di conseguenza si è creata una mancanza di mano d’opera in alcuni epicentri della manifattura in Cina. Inoltre, coloro che ancora sono disposti a impiegarsi negli stabilimenti, stanno negoziando per salari più alti e migliori benefit e sono disposti ad assumere posizioni di forza, se le loro richieste non vengono accettate.
Secondo il China Labor Bulletin, da giugno 2011 alla fine del 2013 ci sono stati quasi 1.200 tra scioperi e proteste in Cina e il 40% ha riguardato gli operai delle fabbriche.
Ciò comporterà probabilmente l’inizio di una lunga stagione di lotte sociali e politiche nella Cina odierna, che porterà inevitabilmente e conseguentemente ad avvicinarla di più al mercato economico globale, visto che fino a tutt’oggi questo paese era considerato un serbatoio mondiale di manodopera a basso costo. In altri termini potremo definire questo fenomeno come la “globalizzazione sindacale” di un paese quale la Cina denominato “la fabbrica del mondo”.
Fonti: NTDTV, China Labor Bulletin, Ansa, China Breaking News.