“Dopo di me il caos”
“La Libia diverrà il vostro inferno”
Muammar Gheddafi ha immaginato sicuramente cosa sarebbe accaduto nel “dopo Gheddafi”, lui che aveva tenuto insieme per oltre 42 anni un paese con innumerevoli etnie e religioni, complicato, difficile, quasi impossibile da gestire democraticamente.
Ma chi aveva messo in moto il meccanismo bellico per togliere di mezzo lo scomodo leader libico invece, in questi ultimi cinque anni si è dimenticato il punto d’origine dell’attuale grave situazione.
Chi ha voluto tutto ciò? Ecco chi dobbiamo ringraziare se oggi l’integralismo sta dilagando in Libia e gli jihadisti sono ormai a due ore dalle coste italiane:
1) Nicolas Sarkozy, l’ex premier francese, gollista con velleità napoleoniche: fu lui a volere con tutta la forza l’abbattimento del regime di Gheddafi nella convinzione che la Francia avrebbe recuperato la sua “grandeur”. Fu lui a guidare le potenze occidentali al riconoscimento di un governo libico d’insorti e fu lui ad imporre, a un recalcitrante Obama, i bombardamenti contro l’esercito di Gheddafi che portarono la Nato ad entrare a gamba tesa in una guerra civile schierandosi con uno dei contendenti e violando così il principio di non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano.
2) Hillary Clinton: fu lei a trascinare di malavoglia l’amministrazione Obama nella guerra “francese” in nome della difesa di diritti umani che in Libia erano violati più dai ribelli che dai lealisti di Gheddafi; e lo fece applicando un principio del tutto nuovo, quello della guerra umanitaria preventiva.
3) Giorgio Napolitano: fu lui a spingere l’Italia nella guerra facendoci aderire alla coalizione che doveva applicare la risoluzione Onu, ma di fatto abbattere il regime libico al grido: “non lasciamo calpestare il Risorgimento arabo”.
Quanto si è susseguito dal marzo del 2011 in Libia e negli altri Paesi con lo pseudo fenomeno delle “Primavere arabe” è la conseguenza di interventi estranei ed esterni a quei territori e alle “culture” di quelle collettività. Il “Risorgimento arabo” non c’è stato perché il “Risorgimento” non rientra nel dna di quei popoli.
Oggi i variegati interessi di Coalizioni internazionali, esistenti o futuribili, non possono riferirsi a un passato così poco limpido; così come l’attuale leit motiv degli interventi armati con l’obbiettivo di raggiungere la “pacificazione” suona come una nota stonata. Sono i variegati interessi dei vari soggetti occidentali e orientali in campo a determinare i contrasti sul modo d’agire in quanto, fra l’altro, l’attenzione mondiale creatasi su quanto avviene in quei territori, già scossi dalle guerre interne, preclude nuovi alibi per gli interventi bellici che la Coalizione intende portare avanti. Comprensibili le difficoltà che incontra il premier italiano Matteo Renzi nel prendere una decisione definitiva sulla partecipazione italiana in una “occupazione” della Libia che in diversi vorrebbero trasformare in “protettorato”, cioè in pratica in nuova “colonia”: da una parte l’esigenza e la richiesta (già accordata dal segretario alla Difesa americano Ash Carter) di una leadership della Coalizione, dall’altra parte l’aspirazione di non volersi sporcare le mani, così come accaduto nel 2011 per la cancellazione di Gheddafi. Due elementi, di fatto, inconciliabili che stanno ponendo l’Italia in una posizione d’attesa ambigua che non accontenta nessuno e che scontenta gli alleati. Ma che soprattutto mette il nostro Paese veramente nelle condizioni di entrare direttamente nel mirino del terrorismo islamico. Subito dopo viene la considerazione, non più di moda, dell’ormai smarrita visione idealista e pacifista, che dovrebbe pur avere una politica fatta dalla sinistra ma che della sinistra ha perso pure l’anima e non solo quella: la guerra è sempre una scelta sbagliata, anche se sotto le solite mentite spoglie della formula di “missione di pace”. L’ha capito anche l’america di Obama, che non si espone più ormai, come una volta, non mette più “scarponi sul terreno”, troppi morti, troppi sacchi neri da riportare in patria, troppi feriti di guerra, troppi veterani, invalidi nel corpo e nella mente. Tutto ciò viene delegato agli altri Stati della Nato con tutte le conseguenze che ne derivano, compresa la reazione del terrorismo islamico.