Il tesoro del condottiero dovrebbe ammontare a 25 tonnellate di oro e 150 tonnellate d’argento. Ecco cosa ha alimentato per secoli la leggenda del tesoro del re dei Goti, con l’interesse non solo bibliografico e letterario per l’argomento: tra i più famosi ricordiamo il libro “Il tesoro di Alarico” di Vittorio Vecchione. Il re dei Goti, come si legge sui libri di storia, espugnò Roma nell’agosto del 410 dopo Cristo. Dopo un lungo assedio Alarico mise a ferro e fuoco la città, saccheggiandola di ogni ricchezza e poi ripartì verso il Sud per giungere in Calabria, da dove voleva raggiungere l’Africa passando per la Sicilia. Ma una tempesta fece naufragare le navi sulle quali si erano imbarcati i barbari e Alarico preferì attendere in Calabria il ritorno della bella stagione per affrontare il viaggio.
Ma poco dopo si ammalò (secondo un’altra versione fu colpito da una lancia nemica) e morì. I suoi dignitari decisero di seppellirlo con tutti gli onori nel letto del fiume Busento assieme al suo cavallo, assieme alla sua armatura e al suo tesoro. Per impedire che la tomba del grande re dei Goti venisse profanata, si deviò il corso del fiume utilizzando migliaia di schiavi che al termine dei lavori furono trucidati allo scopo di non lasciare nessun testimone della sepoltura.
Tutte queste “notizie” si desumono da alcuni passaggi delle opere di Giordane che, a sua volta, aveva tratto ispirazione dalla «Historia Gothica» di Cassiodoro di Squillace, braccio destro di Teodorico. Le stesse «fonti» furono probabilmente utilizzate, molti secoli dopo, dal conte von Platen che nel 1820 scrisse «Das Grab im Busento» (La tomba nel Busento), opera tradotta successivamente dal nostro Giosuè Carducci.
L’ipotesi che smentisce, invece, la presenza del tesoro di Alarico in Calabria è quella di Olimpiodoro di Tebe che, nel descrivere le nozze a Narbonne in Francia tra Ataulfo (cognato di Alarico, divenuto nel frattempo re dei Goti dopo la morte di quest’ultimo) e Galla Placidia (figlia di Teodosio, fatta prigioniera da Alarico durante il sacco di Roma) descrive fra i doni nuziali, la presenza di una enorme quantità di oro, gioielli e pietre preziose che non poteva che essere parte del tesoro sottratto all’Urbe.
La vicenda della sepoltura di Alarico rimase nell’oblio per molti secoli, finchè nella prima metà del Settecento si tornò a parlare della leggenda e monsignor Capecelatro finanziò una campagna di ricerche alla confluenza dei fiumi Busento e Crati che, però, non ebbe alcun esito.
A distanza di quasi due secoli, la «ballata» di von Platen risvegliò improvvisamente l’interesse dei tedeschi che ancor oggi hanno una salda tradizione negli studi romanistici e nelle ricerche di tracce e reperti di antiche civiltà. Nel periodo che precedette la seconda guerra mondiale, per giunta, il mito degli dei Asi e il motto «Deutschland über alles» indussero Hitler a organizzare una spedizione scientifica in Calabria alla ricerca della tomba del re tedesco che aveva, per primo, umiliato l’Impero romano. Il Fuhrer spedì il fido Heinrich Himmler in Italia, ma nonostante le consulenze degli storici tedeschi, gli scavi alla periferia di Cosenza non diedero alcun risultato. La tomba di Alarico rimase ancora un mistero.
Ai nostri giorni i cacciatori di antichi tesori si sono organizzati in società specializzate che ricorrono a ogni tipo di tecnologia per riportare alla luce – come è accaduto di recente nella Manica – i cannoni di golette inglesi del diciottesimo secolo. In Calabria, invece, una sorta di “maledizione” sembra gravare sulla leggenda della sepoltura di Alarico. Si deve a due fratelli appassionati di archeologia, Natale e Francesco Bosco, l’ultimo tentativo di chiarire il mistero. Da anni i due, partendo dalla convinzione che la deviazione del Busento non sarebbhe mai potuta passare inosservata, nemmeno nel 410 d. C., hanno individuato un sito poco distante da quello nel quale si sono svolte le ricerche. L’elemento della confluenza dei fiumi c’è, ma si tratta del Caronte all’altezza della confluenza con il Canalicchio (oggi poco più che un torrente). Il luogo è quello ideale perché si tratta di una vallata deserta che anticamente si trovava nella stessa direzione di un collegamento con il mare. In più Francesco e Natale Bosco hanno individuato una enorme croce scolpita sulla roccia (sicuramente opera dell’uomo) in una località il cui toponimo di origine gotica, «Rigardi», significa, appunto, «osservare con rispetto».
Dall’altro lato della vallata, all’interno di due grotte naturali a strapiombo nella roccia, hanno trovato un altare di probabile origine gotica scolpito un po’ rozzamente. Ma l’elemento ancora più interessante, che ha convinto i due appassionati di archeologia di aver scoperto davvero la tomba di Alarico, è che l’altare poggia su uno strato di sabbia di fiume (l’hanno fatta analizzare da un geologo) del tutto innaturale all’interno di una grotta calcarea di origine vulcanica. Stessa storia all’interno della grotta più piccola, dove anche a occhio ci si accorge di camminare su sabbia “riportata”. Nel corso degli anni, Natale e Francesco Bosco hanno tentato tutte le strade possibili e, ovviamente, legali per ottenere il permesso di scavare. Nulla.
Neppure un sopralluogo e i successivi accertamenti della locale Sovrintendenza archeologica hanno chiarito il mistero del tesoro di Alarico. I due fratelli calabresi non si sono mai dati per vinti: hanno rivolto suppliche alla presidenza della Repubblica, hanno chiesto l’intervento del ministero dei Beni culturali e della Sovrintendenza centrale. Ma tutti i loro tentativi si sono rivelati finora inutili. Come se un impedimento burocratico aleggiasse sulla vicenda impedendo di risolvere il giallo. Una cosa appare certa: anche se nella grotta non c’è il tesoro di Alarico, tutto fa pensare che si possa trovare qualche interessante testimonianza storico-archeologica. E allora, perché non autorizzare gli scavi? E pensare che basterebbero poche migliaia di euro per effettuare un elettro-sondaggio e scoprire se davvero sotto la sabbia, in profondità, si rilevano tracce di metalli…
Se Alarico invece fu sepolto assieme al suo cavallo da qualche parte nella zona del Busento, in prossimità del Crati e di Cosenza, qualcuno dice di avere trovato dove cercare. Molte volte, in verità, hanno individuato la tomba-forziere, molte volte studiosi e archeologi della domenica sono rimasti delusi, tantissimi gli Indiana Jones non solo Calabresi ma da tutto il mondo si sono cimentati. E’ infatti una bellisssima avventura che ad ogni inizio della bella stagione, con le ferie estive, chiunque preveda di andare in ferie nella bellissima regione calabrese, sogna di poter assaporare sia pur solamente nelle rivisitazioni dei magici luoghi citati. Come nelle campagne di Bisignano dove si trova Cozzo Rotondo, un mistero della natura.
Una collina perfettamente rotonda in mezzo al paesaggio circostante, un tumulo di terra costruito artificialmente, non si sa da chi e per cosa. Il cozzo ormai è completamente integrato nel paesaggio, qualcuno ha azzardato che li sotto si troverebbe la tomba e il tesoro di Alarico, re dei goti, altri hanno ipotizzato sagre e racconti da fine del mondo. Chi svelerà il mistero di Cozzo Rotondo?
Il 29 Marzo 1210 apparve nel cielo un globo di fuoco che cadde vicino al castello di Bisignano, dove causò l’incendio di molte case. Il Castello dei Principi Sanseverino di Bisignano, di cui oggi rimane solo un enorme masso.
Sotto i ruderi del castello, ben visibili fino al 1957, dice la leggenda ci sia un tesoro custodito dalle rane. Fino all’anno della loro rimozione, sotto queste rovine, furono rinvenute delle suppellettili, ma del tesoro non si ebbe traccia. In verità, non risulta sia stato mai eseguito il necessario rituale codificato nell’introvabile libro del Comando: affinchè seguendo questi dettami, il tesoro poteva essere trovato solo da una vergine in una notte buia e tempestosa. La cercatrice dopo essersi denudata giacendo supina per terra avrebbe dovuto implorare gli spiriti del male i quali, tra rumori infernali, le avrebbero aperto la pesante lastra di pietra che custodiva le enormi ricchezze. Ma non era ancora finita; a quel punto, le sarebbero apparse migliaia di rane che le avrebbero danzato attorno, mentre la più grande di esse le avrebbe addirittura leccato il corpo. Solo dopo quest’ultima prova, si sarebbe potuta introdurre nello stretto passaggio ed arrivare alla meta desiderata. Si dice a Bisignano che il tentativo sia riuscito, in passato, ad una vecchia zitella, diventata improvvisamente ricca: i Misteri della leggenda si infittiscono!
In una stretta vallata tra alte rocce, tra Mendicino e Carolei. Qui scorre il Busento e su un alto costone roccioso, ecco due misteriose aperture. Sono davvero difficilmente raggiungibili, ma la curiosità di vedere con i nostri occhi il luogo che potrebbe conservare le spoglie del mitico re Alarico è più forte di ogni altra cosa. E così, dopo esserci inerpicati tra i rovi, ecco la prima grotta. Secondo alcuni appassionati di archeologia, questo potrebbe essere davvero il luogo dove 1600 anni fa furono sepolte per sempre le spoglie del re barbaro. Si vede chiaramente anche una sorta di piccolo altare scavato nella roccia. Il problema è che qui non è stato mai effettuato nessuno scavo ufficiale. Eppure i segni dei tombaroli e dei loro tentativi di scoprire qualcosa ci sono. Eccome se ci sono: profonde ferite nella roccia non lasciano dubbi su quanto a lungo si sia scavato. E anche nella seconda apertura naturale, qualche decina di metri più avanti sul costone scosceso, ci sono molti segni della presenza dell’uomo. Si dice che qui visse anche un eremita, per lungo tempo. Qui c’è stato qualcuno certamente di recente, a curiosare, a scavare, a cercare una traccia che possa ricondurre al tesoro di Alarico. Che non sarebbe neanche trascurabile: si parla di 25 tonnellate d’oro e 150 d’argento. Ma aldilà del valore materiale, sarebbe incommensurabile il valore storico del ritrovamento dei resti della tomba reale. E ci sarebbero da riscrivere anche diverse pagine di storia, se la tomba si trovasse davvero qui invece che alla confluenza del Busento con il Crati. Eppure qualche indizio importante esiste.
Per esempio, sulla montagna di fronte a queste grotte, nella roccia è incisa una grande croce. Uno scherzo della natura? O un segno della sacralità del luogo? Il mistero di Alarico resterà per sempre tale? Forse sì, ma non sarebbe opportuno decidere di indagare ancora un po’? Perchè non siano tombaroli senza scrupoli a ritrovare e depredare un luogo che potrebbe diventare un emblema di questa splendida terra. Scoprire la tomba di Alarico sarebbe dirompente, un evento paragonabile se non superiore al ritrovamento dei Bronzi di Riace. Un’occasione che non possiamo permetterci di perdere. Tutto ciò vale la pena di una vacanza nella bellissima Calabria!
Ecco un servizio pubblicato su Youtube e tratto da TELECOSENZA del 29 Gennaio 2010: