Oggi 2 Aprile 2014, esperti riuniti in congresso a Milano fanno il bilancio di quattro decadi di attività. Oltre 54mila trapianti eseguiti ogni anno, soprattutto per curare tumori del sangue
Mieloma multiplo, linfomi,leucemie acute e croniche, malattie mieloproliferative, mielodiplasie, ma anche patologie non oncologiche come quelle autoimmuni, alcuni tipi di anemia o la talassemia. La lista delle malattie che vengono curate con il trapianto di cellule staminali cresce rapidamente e questa procedura, potenziale salvavita per molte forme di tumore del sangue, è oggi accessibile a un numero più ampio di pazienti.Sono così oltre 30mila i trapianti di midollo autologhi(ovvero con prelievo di cellule sane dal paziente stesso) e 24mila quelli allogenici (da donatore) effettuati ogni anno in tutto il mondo. A tirare le somme, in occasione dei 40 anni della Società Europea per i Trapianti di Midollo Osseo (European Society for Blood and Marrow Transplantation, EBMDT che rappresenta 563 Centri Trapianti da 57 paesi europei e non, sono gli esperti internazionali riuniti a Milano per il congresso annuale che si conclude mercoledì prossimo.
I progressi fatti in 40 anni
«Quarant’anni fa il trapianto di cellule staminali o quello di midollo osseo erano procedure sperimentali riservate soltanto a pazienti molto gravi – ricorda Paolo Corradini, direttore dell’Ematologia all’Istituto Tumori di Milano e direttore scientifico del convegno milanese – Oggi, grazie ai molti progressi fatti, in particolare il trapianto di cellule staminali è diventato una terapia disponibile per un numero crescente di malati con varie forme di neoplasie ematologiche e per diverse patologie del sangue di altra natura. Siamo così riusciti a rendere curabili, e talvolta guaribili, malattie che prima erano letali». Per 40 anni, iniziando nel 1990, l’EBMDT (la società scientifica più grande ed antica, l’Europa in questo caso è più avanti degli Stati Uniti) ha raccolto i
dati relativi ai pazienti trapiantati in tutta Europa e, partendo dal nostro continente, la rete si è poi estesa a livello mondiale. Registrare queste informazioni (il tipo di malattia e di donatori, le patologie trattate, la procedura utilizzata e gli esiti, ad esempio), ricordano gli esperti, è stato fondamentale per poter fare dei passi avanti, per condurre studi e protocolli sperimentali che partivano dalle solide conoscenze annotate e condivise fra i maggiori centri di cura e ricerca. Si è così giunti a condividere standard e linee guida internazionali, in modo da poter offrire ai malati dei vari Paesi le terapie migliori disponibili secondo regole stabilite e convalidate in comune, con notevoli vantaggi anche per la qualità di vita dei pazienti.
Utilizzare donatori compatibili a metà, un grande successo
La maggior parte dei trapianti viene effettuata in malati di cancro. Secondo le statistiche, due terzi dei 30mila trapianti autologhi servono a curare mieloma multiplo e linfoma non Hodgkin, mentre oltre la metà dei 24mila trapianti allogenici è riservata a casi di leucemia acuta. «In questo contesto l’Italia, come dimostrano i dati raccolti negli anni, è all’avanguardia – commenta Marco Bregni, responsabile dell’Oncologia all’Ospedale di Busto Arsizio (Varese) e presidente del congresso milanese -. Nel nostro Paese si fanno tanti trapianti allogenici da donatore, come in Francia, Austria e nei paesi scandinavi. In particolare, però, ci distinguiamo perché siamo il Paese dove si fanno in assoluto più trapianti da donatore cosiddetto mismatched (o aploidentico), cioè uguale solo per metà. Si tratta, in pratica, di utilizzare familiari che hanno un patrimonio genetico compatibile solo al 50 per cento con il malato, contrariamente al donatore classico che è invece identico al il 100 per cento». Questo è uno dei maggiori successi ottenuti dalla ricerca negli ultimi anni. Si riesce, infatti, a superare la barriera immunologica in vari modi: selezionando le cellule progenitrici, utilizzando una chemioterapia post-trapianto, usando nuovi farmaci immunosoppressori, modificando geneticamente i linfociti T (che hanno un ruolo chiave nella risposta immunitaria) in modo che possano essere eliminati in caso di reazione dannosa contro il paziente. «Così abbiamo superato una barriera importante – conclude Bregni -, perché i donatori identici sono sempre meno: famiglie più piccole, minore numero di figli, invecchiamento generale della popolazione hanno ridotto parecchio le probabilità di utilizzare genitori, figli o fratelli compatibili al 100 per cento. Poter usare persone uguali a metà consente ora di allargare moltissimo la platea dei possibili donatori». Al Congresso sono stati anche presentati i risultati di diversi programmi di terapia cellulare con linfociti specifici anti-leucemia: «Certamente – conclude Corradini – questo approccio sarà l’evoluzione del trapianto, rendendolo una terapia mirata in grado di eliminare solo le cellule malate e risparmiando quelle sane, con meno tossicità per i malati e più efficacia. Un passo avanti epocale grazie alle applicazioni delle conoscenze dell’immunologia alla cura dei tumori umani».
Il trapianto nella cura delle talassemie
L’aumento dell’eta media dei pazienti Talassemici affetti esclusivamente da Talassemia major seguiti nella maggior parte dei centri specializzati dal 1989, con un’età media di 14 anni, fino ad arrivare al 2005 con un’età media di poco più di 26 anni. Sono dati importanti per evidenziare le migliorate qualità di vita e di cura, grazie anche all’introduzione del trapianto. Si effettua la terapia convenzionale nella maggior parte dei casi (81%) anche su pazienti adulti con dei buoni risultati, si sta procendendo sempre di più con il trapianto di cellule staminali (16%) ed infine la terapia genetica, dove si sta studiando la possibilità di utilizzare dei geni in grado di far produrre emoglobina in maniera adeguata. Un discorso a parte per quanto riguarda i farmaci per l’induzione della sintesi Hb fetale, metodo utilizzato ancora poco (3%) per ridurre la frequenza di trasfusioni.
Il trapianto di midollo osseo è attualmente una strada percorribile per la guarigione definitiva dalla talassemia.
La condizione essenziale per la riuscita di un trapianto di midollo è la compatibilità assoluta con il donatore; questa è infatti la base per evitare il rigetto del corpo del ricevente. I donatori più probabili sono solitamente i fratelli del soggetto talassemico, e proprio questo ha limitato fortemente negli anni passati la possibilità di ricorrere a questa soluzione.
Ricerche mediche condotte negli ultimi anni hanno reso possibile anche il trapianto fra estranei compatibili.
Tuttavia il rischio di rigetto rimane alto a scapito dell’effettiva guarigione del talassemico, se non della sua stessa vita.
Va sottolineato che nella fascia di età compresa tra 1 e 16 anni, purché non ci si trovi in presenza dei così detti fattori di rischio, le percentuali di successo sono alte.
Dai 16 anni in su, in presenza di almeno un fattore di rischio, le percentuali di successo sono meno alte e possono attestarsi sotto l’80% se vi sono più fattori di rischio.
Globalmente dopo una valutazione di tutti i dati conosciuti a livello mondiale si può affermare (cfr. Prof.ssa Caterina Borgna) che mediamente i rischi per un trapianto di midollo sono elevati e si possono così riassumere:
67% di successo (guarigione)
13% di insuccesso (si può vivere con problemi legati al trapianto e si ritorna talassemici)
20% di decessi
La fase preparatoria al trapianto, ossia il condizionamento, é particolarmente stressante e pericolosa e comporta l’impiego di farmaci potenti, tossici, per la distruzione del midollo osseo del ricevente.
Le possibili malattie secondarie da trapianto (GVH) rendono critica la fase del post-trapianto e in alcuni casi impongono una difficile convivenza.
La scelta del trapianto deve essere attentamente valutata tra il medico, paziente e familiari lasciando a questi ultimi la decisione finale. Il trapianto di midollo osseo oggi é ormai una realtà.
Vi sono molte probabilità di guarigione, tuttavia alcuni seri rischi non vanno sottovalutati. Non tutti, però, possono farvi ricorso a causa della mancanza, nel 70% dei casi, del donatore identico e perché talvolta le condizioni di salute, a causa di più fattori di rischio presenti, non lo consentono.
Notevole importanza rappresenta l’adozione di nuove tecniche basate sull’utilizzo delle cellule contenute nel cordone ombelicale dei neonati, aprendo nuove strade a questo metodo di guarigione al quale speriamo di poterci presto affidare con piena fiducia.
Le molteplici applicazioni del trapianto di midollo
Si sta sperimentando con successo la terapia del trapianto nella cura dell’AIDS, nella condizione di sieropositività (HIV+), negativizzando i pazienti che subiscono il trapianto di modollo con le staminali, nonostante la sospensione della terapia antiretrovirale.
(Vedi Ns. articolo: http://www.globonews.it/usa-due-uomini-guariti-dallhiv-dopo-un-trapianto-di-midollo-osseo/ del 4 luglio 2013).
Numerose altre ipotesi di cura di malattie ad etiologia autoimmunitaria, stanno emergendo da ogni parte del globo in numerose equipe di ricercatori, con lo sviluppo degli studi sulle potenzialità delle cellule staminali, utilizzando il trapianto midollare come un vero e proprio azzeramento (reset) del sistema immunitario. Tali ipotesi di cura lasciano ben sperare per le future applicazioni in campo terapeutico, aprendo nuovi futuribili orizzonti alla medicina tradizionale, con spiragli di sollievo della condizione umana nella sofferenza e nella malattia.