Sulla base di quanto previsto dalla spending review, ovvero circa il ridimensionamento dei posti letto in Italia derivanti dalla riduzione dal 3,82 al 3,7 della media italiana di posti letto per mille abitanti (di cui 0,7 deve essere dedicato a riabilitazione e lungo-degenti e i restanti 3 per gli acuti), la riduzione sarà di 7.389 unità. Secondo i dati diffusi dal ministero della salute, in pratica, si passerebbe dai 231.707 posti letto ai 224.318 posti letto nazionali. Di questi 181.879 dovranno essere per acuti (-14.043) e fino a 42.439 per post-acuti (+6654). Un ridimensionamento temuto maggiormente perché non distribuito equamente sul territorio, occorre tenere conto che nel 2009 i posti letto erano 251.023 e quindi i posti letto tagliati in poco più di 3 anni saranno, nei fatti 26.705. Addio alla spending review invece sui costi dei prodotti sanitari che prevedeva l’istituzione di un osservatorio dei prezzi, decisa dall’allora ministro Fazio. Se entrata in vigore, la norma avrebbe fatto risparmiare alle casse dello Stato un miliardo di euro. Secondo l’ex ministro della Salute Fazio, questa differenza di costi era dovuta in parte al “costo della corruzione”. Per questa ragione, il 15 luglio del 2011, aveva istituito un osservatorio sui prezzi che aveva lo scopo di stabilire dei prezzi base. Il primo luglio scorso, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici aveva iniziato a pubblicare i prezzi target ai quali tutte le Regioni e le Asl d’Italia avrebbero dovuto attenersi per gli acquisti dei prodotti sanitari che rappresenta circa lo 0,5 % del Pil. Il Garante aveva monitorato i prezzi di un paniere di circa mezzo migliaio di beni e servizi. Per ognuno di quei prodotti, aveva stilato una classifica dei prezzi per ordine di grandezza. Quindi aveva stabilito che il costo target doveva essere il decimo di quella graduatoria, il cosiddetto decile. Sette giorni dopo la pubblicazione di quel bollettino di costi sanitari, il governo Monti, con la seconda spending review, aveva stabilito che tutti i contratti superiori del 20 per cento al decile, avrebbero dovuto essere rinegoziati. Se entro 30 giorni la rinegoziazione non fosse stata fatta, il contratto sarebbe stato automaticamente annullato. Hanno subito risposto i fornitori e le multinazionali sanitarie, presentando una pioggia di ricorsi al Tar. A loro modo di vedere, il prezziario del Garante li avrebbe danneggiati economicamente: da qui la richiesta di sospenderlo immediatamente. Le prime istanze alla giustizia amministrativa, però, sono state respinte. Alla terza sezione Tar Lazio però, i ricorsi presentati vengono tutti accolti e la tabella dei prezzi target sui dispositivi medici viene sospesa. Secondo la terza sezione che s’è espressa il 23 novembre scorso, la tabella dei prezzi target va annullata “in quanto – si legge nell’ordinanza – non risulta l’iter logico seguito dal Garante per individuare lo specifico prezzo della categoria dei dispositivi medici”. Questa motivazione ha destato perplessità all’Autorità di vigilanza in quanto il 6 novembre, dunque prima del pronunciamento del tribunale amministrativo, una norma del governo Monti aveva trasformato in legge proprio quella procedura del decile seguita dal Garante. Intanto però, i risparmi che avrebbero impedito che lo stesso defibrillatore che viene acquistato a Trento a 13500 euro e ad appena 50 chilometri di distanza, a Bolzano, a 16.100, sono stati rinviati a data da definirsi. Il Tar Lazio manda a monte la spending review sanitaria che aveva fermato la vergogna della siringa che costa in una Asl tre centesimi e in un’altra 65. E che avrebbe fatto risparmiare alle casse dello Stato un miliardo di euro. Ora tutto torna come prima. Il precedente governo, il 15 luglio del 2011 aveva previsto, con la prima legge spending review, l’istituzione di un osservatorio prezzi. In forza di questa legge di un anno e mezzo fa, il primo luglio scorso l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici aveva pubblicato i prezzi target ai quali tutte le Regioni e le Asl d’Italia avrebbero dovuto attenersi per gli acquisti dei prodotti sanitari. Si tratta di una spesa enorme per il bilancio dello Stato, se si considera che rappresenta circa lo 0,5 % del Pil. Per fare un esempio, il principio attivo filgrastim ha un prezzo target di 8,8, mentre quello medio riscontrato sul mercato è più del triplo, 29. Le multinazionali sanitarie hanno sempre spiegato questa giungla dei prezzi sostenendo che alcune Asl pagano a 24 mesi, e che in altre il prezzo diminuisce se aumenta la quantità di prodotti acquistata. Il Garante aveva però dimostrato che in molti casi i prezzi aumentano aumentando la quantità acquistata. E che l’oscillazione dei prezzi nulla aveva a che fare con i tassi di interesse che gravano sui pagamenti differiti. Che avesse ragione Fazio?
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