Ora ha un nome il boia dell’Isis è Mohamed Emwazi, 27 anni, arriva da famiglia agiata di Londra
Critiche in Gran Bretagna ai servizi di sicurezza. Un’organizzazione accusa: “Era una persona buona, sono stati i servizi a causarne l’alienazione”. E il caso può diventare politico. In Italia Alfano annuncia: “Da dicembre espulsi 21 estremisti”
LONDRA – L’Italia come “potenziale obiettivo” di attacchi terroristici anche per “la sua valenza simbolica di epicentro della cristianità”. Lo scrivono i Servizi segreti nella Relazione del Dis al Parlamento ribadendo che allo stato non sono emerse “attività o pianificazioni” di attacchi nel nostro paese. I servizi segreti sottolineano che tra queste ci sono anche donne – mogli, familiari o amiche – di combattenti “attratte dall’eroismo dei propri cari, specie se martiri”. Per quanto riguarda il nostro Paese, il ministro dell’Interno Alfano oggi ha annunciato che dalla fine di dicembre “sono stati espulsi 21 sospettati di radicalismo violento”. Si tratta di un radicalismo “che si accentua attraverso il web – ha aggiunto – una grande palestra di democrazia, usata dai jihadisti per fare proselitismo e guadagnare nuovi consensi. Stiamo lavorando in collaborazione con i colossi del web anche su questo fronte”.
Intanto rischiano di volare teste a Londra, alla sede dell’Mi5, i servizi segreti interni alla Gran Bretagna. Il giorno dopo la rivelazione che Jihadi John, il boia dello Stato Islamico, è Mohammed Emwazi, un londinese di 27 anni già noto alle forze di sicurezza, si alzano voci critiche contro l’operato degli agenti.
Emwazi sarebbe stato – come riportano vari media britannici – nel mirino dell’agenzia da oltre sei anni, sarebbe stato detenuto e interrogato, forse trattato con violenza, per spingerlo a collaborare. I metodi della guerra al terrorismo finiscono così di nuovo sotto accusa. Sembra che, come riporta il Times, i servizi segreti avessero tentato di trasformarlo in un informatore più volte, forse dodici, evidentemente non riuscendoci. Eppure Emwazi, così controllato dall’agenzia e presente sulla watch list, è riuscito a lasciare il paese e a unirsi allo Stato islamico in Siria.
E c’è chi denuncia che proprio questa violenza l’avrebbe avvicinato alle posizioni del jihadismo più estremo. Asim Qureshi, del gruppo Cage, un’organizzazione critica sulla lotta al terrorismo, ha raccontato che Emwazy era una persona “estremamente gentile” e “buona”, fino a quando è stato interrogato dall’Mi5. Una posizione però difficile da sostenere, se Emwazy è stato arrestato nel 2009 mentre cercava di passare dalla Tanzania alla Somalia per unirsi ai miliziani di al-Shabaab, quando ancora lo Stato islamico non esisteva e le primavere arabe non erano iniziate. Per Qureshi, i metodi della polizia hanno “aumentato l’alienazione” di Emwazy, “la persona più umile che io avessi conosciuto”.
Il caso rischia di trasformarsi anche in politico, a soli due mesi e mezzo dalle elezioni politiche. Sir Menzies Campbell, membro del comitato per l’Intelligence e la sicurezza del parlamento britannico, ha detto che i vertici dei servizi saranno interrogati dalla commissione, anche se solo dopo il voto. Se però il caso dovesse esplodere con più forza, non è detto che la resa dei conti anche in parlamento non possa arrivare prima.