Dopo 13 anni, per Walter Visigalli primo in Italia a farsi trapiantare la mano, crisi rigetto, dolore e rischi troppo alti. Il famoso chirurgo dell’Ospedale S. Gerardo di Monza Marco Lanzetta: decisione presa insieme al paziente. Troppo forte il dolore, troppi i rischi: cosi’ Walter Visigalli ha deciso di farsi amputare la mano che nel 2000 a Monza si era fatto impiantare con un’operazione mai effettuata prima in Italia. Visigalli avrà comunque un’altra mano nuova perché nel giro di 4-6 settimane gli sarà impiantata una protesi. E’ stata quindi inevitabile l’operazione effettuata martedì scorso alla clinica Columbus di Milano per rimuovere la mano che gli era stata impiantata dal professor Marco Lanzetta al San Gerardo di Monza.
“Le crisi di rigetto – conferma la seconda e attuale moglie, Pierangela Riboldi, 57 anni, infermiera, che vive con lui a Mulazzano, in provincia di Lodi – erano diventate più intense. Le massicce iniezioni di cortisone non avevano però ottenuto effetto, contribuendo invece ad alterare i valori di glicemia. Walter, infatti, purtroppo è anche diabetico. Avrà dei colloqui con la psicologa – aggiunge la moglie di Visigalli – perché dopo quasi 13 anni si deve abituare alla nuova realtà: ora ha un moncone che parte dal gomito. Il professor Lanzetta, che ci è stato sempre molto vicino e che ha fatto tutto quello che ha potuto fino all’ultimo giorno, ora sta studiando quale protesi applicargli, non appena sarà guarito.”
Visigalli centralinista 48enne, perse la mano quando aveva 22 anni e l’operazione avvenuta nel 2000 quando ne aveva 35 apparve subito molto complessa. Ma per parecchi anni le reazioni di rigetto si erano presentate in forma leggera, mentre negli ultimi due la situazione era degenerata con ulcere molto dolorose e gravi rischi per la salute dell’uomo.
“Ne vale la pena, ma serve tanto coraggio e tanta volontà” – aveva dichiarato un anno dopo l’operazione Visigalli, in occasione del secondo trapianto di mano nel nostro Paese, guidato sempre da Lanzetta. Il chirurgo, nel 1998, partecipò a Lione al primo trapianto di mano al mondo. Il paziente che lo ricevette, il neozelandese Clint Hallam, allora 50enne, un anno dopo l’intervento smise di assumere i farmaci anti-rigetto e fu amputato in Inghilterra. Spiegò di sentire troppo dolore, e psicologicamente non aveva accettato del tutto la mano nuova. La storia di Visigalli, almeno all’inizio, sembrava diversa. Il paziente si era sempre dichiarato convinto e soddisfatto della propria scelta, impegnandosi al massimo nella riabilitazione e seguendo le prescrizioni mediche: “Vorrei accarezzare mia figlia” – Affermava Visigalli in una delle numerose interviste. Per anni le reazioni di rigetto si erano presentate in forma leggera, ma negli ultimi 2 la situazione era progressivamente peggiorata, fino ad arrivare a ulcerazioni dolorose ed a rischio d’infezione. I rischi maggiori erano appunto la cancrena e la setticemia. Da qui la decisione di amputare, con un intervento di 3 ore alla clinica milanese Columbus.
“Dopo un po’ di tempo dal trapianto di 13 anni fa – spiega Lanzetta – l’area della corteccia cerebrale collegata all’arto si era riattivata, riportando segnali della mano nuova. Ciò potrà essere di grande aiuto per l’impianto di una protesi bionica, nei prossimi mesi. La mia avventura con Walter non finisce certo qui, ma è un working progress – assicura Lanzetta – che in questi anni ha mantenuto con l’uomo un contatto strettissimo, seguendolo anche nella decisione finale. – Il chirurgo tiene a precisare – La storia di Visigalli non va assolutamente vista come un fallimento. La vicenda ha un epilogo comunque positivo – sostiene – perché per tanti anni abbiamo permesso a Walter una vita piena, un lavoro, una progettualità senza particolari problemi legati alla terapia. La rinuncia all’arto – dice Lanzetta – è stata una decisione serena e condivisa.” – Il chirurgo racconta che, dopo molti anni di terapia anti-rigetto nel complesso efficace e ben tollerata – “Visigalli ultimamente è andato incontro a un paio di reazioni che abbiamo fatto fatica a controllare con i medicinali convenzionali. A un certo punto sembrava che l’allarme fosse rientrato, ma poi abbiamo concluso che per un controllo efficace del rigetto avremmo dovuto passare a una categoria di farmaci più pesanti. Un trattamento che, mettendo sui due piatti della bilancia i benefici e i rischi legati all’immunosoppressione, insieme abbiamo deciso di non portare avanti. Proprio questo – spiega Lanzetta – è il patto che faccio con tutti i miei pazienti. Un patto molto chiaro che abbiamo sempre rispettato: non mettere mai, per nessun motivo, a rischio la loro vita per un trapianto che non è salvavita. Da qui la scelta di amputare. Ora il progetto è utilizzare una delle nuove protesi che 15 anni fa non esistevano ancora, e che sono in grado di fornire anche un certo tipo di sensibilità al braccio che le ospita. Quello che stiamo cercando di fare – annuncia Lanzetta – è di sfruttare la rappresentazione cerebrale dell’arto, che in Walter appare ben sviluppata. Si tratta di una sorta di impronta che la mano perduta ha lasciato sulla corteccia cerebrale dell’uomo. Una presenza che, in questi anni di riabilitazione post-trapianto, Visigalli è riuscito ad allenare molto bene.”
Se pensiamo alle nuove tecniche sviluppatesi in questi ultimi anni in settori quali le biotecnologie e le protesi artificiali, si può oggigiorno ottenere un impianto con le stesse sensazioni, come se fosse un arto reale. La mano bionica che consente agli amputati di “sentire” ciò che si tocca o si afferra. Infatti se fino ad ora le innovazioni tecnologiche hanno permesso di costruire arti artificiali in grado di captare solamente i segnali del cervello, nessuno strumento bionico ha restituito ai pazienti anche i feedback sensoriali. Adesso vi sono diversi gruppi di scienziati, pensiamo per esempio a quello diretto da Silvestro Micera (della svizzera Ecole Polytechnique Fédérale, di Losanna) a restituire il senso del tatto a chi lo ha perso in passato per colpa di incidenti. Nuove prospettive si aprono attraverso l’impianto della nuova mano bionica: Un’operazione “pionieristica”, che potrebbe introdurre nel mercato una nuova generazione di arti artificiali con una percezione sensoriale senza precedenti. La mano bionica di nuova concezione è collegata al sistema nervoso del paziente: la speranza è che l’uomo possa essere in grado di controllare i movimenti della mano, oltre che ricevere segnali da sensori tattili inseriti nella pelle della mano artificiale. “Un reale progresso, vera speranza per gli amputati. Sarà la prima protesi in grado di fornire in tempo reale un feedback sensoriale” – ha spiegato Silvestro Micera. Un modello precedente, meno innovativo, era stato trapiantato nel 2009: permise al paziente di poter muovere le dita della mano bionica e afferrare oggetti. Ma il nuovo prototipo sarà in grado di inviare segnali sensoriali di ritorno da tutte le punta delle dita: L’arto costruito dal team di ricercatori svizzeri proverà a ridare ai pazienti la percezione sensoriale di ciò che si tocca. Restano solo alcuni quesiti: uno dei problemi irrisolti è quello legato alla capacità dei pazienti di tollerare l’arto, mentre resta anche il problema di come nascondere il cablaggio sotto la pelle del paziente per rendere il tutto meno invadente.
La Bionica è la scienza interdisciplinare che applica teorie e tecniche biologiche, fisiche e matematiche per creare macchine artificiali in grado di svolgere compiti in maniera similare ad un sistema biologico.
Gli Arti Bionici sono forse la massima espressione della Tecnologia Bionica applicata nelle protesi umane, la Bebionic é l’azienda leder mondiale nel campo delle mani bioniche a comando mioelettrico.
Ecco un video su queste nuove protesi:
Inoltre il guanto standard che riveste la Bebionic V3 é di un materiale multistrato in silicone che si adatta sopra la mano ed è disponibile in 19 diverse tonalità, in grado di dare alla mano un aspetto incredibilmente realistico, infatti molti lo reputano “troppo reale” e scelgono di indossare la protesi di metallo nudo.